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Visita pastorale 2010

Riportiamo la lettera che Sua Eccellenza Francesco Lambiasi ha scritto a Don Giorgio ed a tutta la comunità parrocchiale a conclusione della visita pastorale alla nostra parrocchia.

Rimini, 11 giugno 2010

Carissimo Don Giorgio,
sono passate poche settimane dalla visita pastorale nella vostra parrocchia – svoltasi dal 10 al 15 maggio 2010 – e continuano a scorrermi davanti, ancora ad alta definizione, i tanti fotogrammi di quelle giornate colme gioia e di tanta grazia. Ma, prima di ritornarci su, permettimi di dire a te e a tutta la vostra carissima comunità parrocchiale la più sincera, sentita gratitudine per l’accoglienza cordiale e calorosa, a cui in verità mi avevate abituato fin dalla prima volta che venni in mezzo a voi. Il ricordo di quel 23 settembre 2007 è ancora fresco e mi resta stampato nel cuore con contorni indelebili, ma stavolta ho toccato con mano che avete superato voi stessi per l’intensità dell’affetto, la vivacità della gioia, la sintonia delle prospettive.

Riandare con la memoria ai giorni della visita pastorale è per me – ma, ne sono sicuro, altrettanto per voi – esercizio spirituale di fede e di ammirata gratitudine al Signore perché non si è ancora stancato di noi, e la sua inesauribile, sconfinata tenerezza continua ad accendere meraviglie nelle nostre comunità. Del resto, non è proprio la gratitudine che richiede il Signore al suo popolo, quando gli ricorda – come in una interminabile litania – le grandi opere da lui compiute per dimostrare il suo amore viscerale e totalmente gratuito a favore dei suoi figli?

Dunque… abbiamo iniziato la visita con una veglia di preghiera nella vostra chiesetta degli Angeli Custodi, e già quell’assemblea, così variegata per la gamma completa delle fasce d’età e così unanime e attivamente partecipe, mi ha rimandato l’immagine di una comunità cristiana, dove si sente “a pelle” il gusto di incontrarsi nella comunione della stessa fede e la gioia di condividere preghiera, vita, missione. Al termine di quella prima assemblea, si percepiva nell’aria che lo Spirito del Signore aveva ripreso a scatenarsi: il “contatto” tra il Vescovo e la comunità era stabilito, e il barometro della visita cominciava a segnare indici di “alta pressione”.

Il giorno seguente il programma prevedeva l’incontro con i bambini del catechismo della fascia scuole elementari. L’incontro si è svolto con ritmo incalzante, in un clima combinato in giuste dosi di raccoglimento e di festoso entusiasmo. Ho pertanto potuto cogliere dal vivo il – permettimi di etichettarlo così – metodo “del Don”. Tu, Don Giorgio, hai ricevuto il “carisma” di educare alla fede le giovani generazioni, e la lunga esperienza, acquisita in presa diretta sul campo, ti ha portato a collaudare un metodo educativo condito di simpatia attraente, di elevata efficacia comunicativa, di ordine e precisione, ma anche di gioia frizzante e contagiosa. Mentre ti vedevo alle prese con quella marea di sguardi calamitati dalla catechesi semplice e penetrante e dalla tua capacità magnetica nel far pregare i bambini, ma anche nel farli cantare e perfino divertirsi, mi venivano in mente gli slogans di tre grandi educatori: “Rendete contenti quelli che volete rendere buoni” (Don Bosco); “La via più breve alla santità è l’allegria” (s. Filippo Neri); “Ai ragazzi e ai giovani dobbiamo presentare un Gesù simpatico” (Don Oreste).

La visita ai malati mi ha permesso di avvicinare alcuni fratelli e sorelle infermi, che con la loro sofferenza, vissuta con esemplare generosità, contribuiscono ad alimentare il bacino dell’economia sommersa della grazia, a cui può sempre attingere, con quella fiducia che non teme smentite, una comunità cristiana che crede nei misteri dolorosi ma fecondi della croce.

Il penultimo giorno, dopo la s. Messa del mese di maggio, ha avuto luogo l’incontro con gli operatori pastorali. Ho proposto un piccolo esercizio di discernimento sul cammino della comunità parrocchiale, e ho lanciato sul tappeto due domande semplici semplici: che cosa può trovare di interessante e di attraente un nuovo arrivato nella vostra parrocchia? e che cosa invece potrebbe riscontrare di faticoso o bisognoso di correzione? Le risposte dei numerosi presenti sono venute a pioggia, e si percepivano tutte sincere e motivate. Ne riporto quelle che più mi hanno colpito. “La nostra si presenta come una parrocchia accogliente, vivace, gioiosa e creativa. E’ molto impegnata sul fronte educativo. Rappresenta per giovani e adulti una vera scuola di fede e una efficace palestra di vita. Si caratterizza per una marcata continuità nella trasmissione della fede alle nuove generazioni”. D’altro canto non sono mancate oneste ammissioni di rischi o ritardi, come da parte di chi – senza peraltro cedere alla cultura della lamentazione né tanto meno della recriminazione – ha riconosciuto con franchezza evangelica: “Dobbiamo stare attenti a non crederci già arrivati. Occorre vigilare sulla qualità e il profilo della nostra testimonianza. Ci farebbe bene praticare di più la correzione fraterna. Bisogna fare qualche ulteriore scatto nell’impegno di avvicinare i cosiddetti lontani”.

La serata dell’ultimo giorno è stata fitta di appuntamenti e di incontri personali e di gruppo. Qui vorrei ritornare almeno sulla “scuola di comunità” con il gruppo giovane e quello adulto. Il tema era “Gesù, Messia sconfitto e Signore risorto”. Mi avete chiesto di guidarlo, e debbo dire che non ho fatto fatica nell’inserirmi nel vostro cammino già bene avviato: infatti vi ho trovati molto appassionati nella conoscenza della persona e dell’opera di Cristo Signore e sinceramente impegnati nel tradurre in fatti di vita le verità della fede. Siamo così arrivati alla celebrazione eucaristica conclusiva. Mi pare che sia stata la sintesi più degna e più alta di tutta la visita. In verità ci sono arrivato un po’ stanco, ma ne sono uscito ricco, carico e molto contento di aver incontrato una comunità cristiana viva, fedele, unita, aperta che, con l’aiuto del Signore, riesce a mostrare come la vita cristiana sia una vita vera, piena, traboccante. Una vita che, quando tende alla misura alta della santità, si presenta in trasparenza come la vita dalle “tre b”: bella, buona, beata.

A questo punto, mi rendo conto di essermi attardato un po’ troppo nel ripercorrere le tappe delle visita pastorale, ma sono sicuro che voi avete intuito il senso di questo lungo “amarcord”. Tentare una rilettura “sapienziale” di un evento significativo, quale è la visita del Vescovo, non è un cedere alla nostalgia di ricordi che, come tali, possiamo ormai vedere solo con lo specchietto retrovisore, ma un tentativo di discernere come trasformare le tracce del passato in frecce direzionali per il futuro.

Ora vorrei dedicarmi a riprendere quei messaggi conclusivi che vi ho lanciato in forma sintetica al termine dell’ultima celebrazione eucaristica. Come ricorderete, mi sono ispirato al titolo della seconda chiesa della vostra parrocchia, la stessa in cui si stava concludendo la s. Messa: è la chiesa della “Pentecoste”, un titolo che in quel contesto mi è sembrato fecondo di prospettive per il cammino prossimo futuro. Una comunità parrocchiale deve in un certo senso fare una “pentecoste permanente”, dove l’aggettivo “permanente” va inteso come “crescente”, in costante, irreversibile aumento. In effetti la Pentecoste è cominciata duemila anni fa, ma non è mai finita, anzi continua a dilatarsi nel tempo e nello spazio fino alla fine dei tempi.

Cosa significa allora per voi “fare pentecoste”? A mio parere, significa innanzitutto realizzare l’ideale della comunità primitiva: in attesa della venuta dello Spirito Santo “tutti erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme e a Maria, la madre di Gesù”, e dopo l’effusione del Paraclito, “tutti i credenti stavano insieme, avevano ogni cosa in comune.. .e avevano un cuore solo e un’anima sola”. Questa è la prima testimonianza che una comunità cristiana deve dare al mondo: la comunione fraterna. Occorre dunque riposizionare continuamente la barra del timone puntandola verso questo ideale alto ed esigente: la piena unità nel nome del Signore. E’ questo il segno di riconoscimento che dobbiamo porre come discepoli di Cristo. La fede infatti ci fa credenti, ma è la carità che ci rende credibili. L’unità che deve vigere tra i membri della comunità parrocchiale non è certo una livellante uniformità, ma è unanimità di mente e di cuore: concretamente questa unità si realizza quando si è “uniti a priori nell’essenziale, ma capaci di convergere anche nell’opinabile”. Bisogna perciò vigilare perché le diverse, legittime “visioni” non degenerino in “divisioni” laceranti e conflittuali.

Inoltre “fare pentecoste” significa andare in missione a portare a tutti il lieto messaggio di Cristo morto per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza. Una parrocchia che voglia dirsi ed essere veramente “pentecostale” o è comunità missionaria o non è. Giovanni Paolo II affermava che “la parrocchia è quella comunità che trova se stessa al di fuori di se stessa”. Ordinariamente questa missione avviene attraverso la testimonianza dei laici, che mostrano la bellezza attrattiva e la concreta vivibilità della fede cristiana e cattolica, nella sequela libera e lieta sulle orme del nostro unico Maestro e Signore. Ma è indispensabile poi che i fedeli laici siano “sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della loro speranza” (cfr lPt 3,1 5). Per questo occorre investire in formazione perché a tutti i membri della comunità parrocchiale sia offerta la possibilità di maturare una fede adulta e pensata. Senza mai dimenticare che un modo insostituibile di fare missione è quello di “fare cultura”, intercettando le domande anche inespresse e gli aneliti più profondi del cuore umano. In questa direzione si colloca l’associazione culturale “Panthos”, a cui mi è gradito augurare di continuare a fermentare l’ambiente di Riccione con i valori perenni e fecondi dell’umanesimo cristiano.

Come vedete, non vi è chiesto di fare altro rispetto a quanto già fate, ma di andare oltre intensificando, approfondendo e dilatando le tante cose buone che contrassegnano il vostro cammino. Per il resto “siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (lTs 5,l6ss).

Carissimo Don Giorgio, ti affido questa lettera nella fondata fiducia che ne vorrai condividere riflessioni, stimoli e prospettive con il Consiglio Pastorale, il Diacono e i Ministri, gli Operatori Pastorali, i gruppi di catechesi, e con il maggior numero possibile di fedeli, nelle forme, tempi e modi che la tua creativa saggezza pastorale ti suggerirà.

E mi raccomando, continuate a “fare e far fare coro” con la vostra magnifica corale.

Un caro, fraterno saluto a te e a tutti, nel nome del Signore e nella luce del sorriso di Maria e degli Angeli Custodi.